A Formia alla fine degli anni settanta c'era un cortile di brecciolini
e sotto casa un bar e a fianco una pasticceria che la mattina alle 5
già si sentiva odore di cornetti che mio nonno si incazzava. A cento
metri oltre l'asfalto si vedeva una distesa azzurra, dal balcone della camera da letto c'era la campagna di
Umberto con in mezzo un rudere e attorno gli ulivi, poi i palazzi con
le bouganville abbarbicate ai recinti, si attraversava la strada e di
fronte c'era tutto il mare che volevi, a destra la torre di Mola, il
porto, e in fondo il golfo di Gaeta, a sinistra il Miramare, il
grattacielo, la piscina Europa, Santo Janni. Quando uscivano con la
barca di nonno erano guai se ti imbranavi, perché andava giù di
bestemmia, ed erano pataturco e cazzi a non finire, due strappi
secchi al laccio dell'Evinrude e partivamo per polpi, spigole,
sconcigli, cannolicchi; con nonno una volta ci spingemmo fino alla
pila, tra Formia e Gaeta... erano giorni rari perché nonno in fondo
era un sannita e quando si allontanava troppo da terra stava sul chi
vive. Comunque quel giorno andammo, alla pila c'era un sole che
spaccava le onde, e mentre stavamo lì a buttare lenze nonno alzò il
mento verso un gozzo che ci stava a poppa e disse: - c'è zio
Alberto - Non finì di dirlo che si aggrappò alla barca un dio emerso dagli abissi, un Nettuno con tanto di barba, abbronzato e scolpito
come il terzo bronzo di Riace... da fico che era, mi guardò, sorrise
e sparì di nuovo sott'acqua. Passò meno di un minuto, il tempo che
io e nonno ci scambiammo un'occhiata, e lui riemerse e mi diede in
mano una stella di mare rosso fuoco grande come una pizza, poi ci
salutò con un cenno e nuotò di nuovo verso il gozzo... era la fine
degli anni 70, la pila stava appollaiata come una sirena sul suo
scoglio e sul mare crepitavano mille lucciole di sole.
(30.10.12)
(30.10.12)
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