PARTENZA
Quando
atterro mi accogli sulla tua terra rossa e il mare verde.
Abbracciandomi stretto. Levandomi il fiato già dimezzato da tanta
distanza da casa.
PRIMO
GIORNO
-
Ciao
-
Ciao
-
Non sparire
-
No, lo sai, dai, ...e poi ormai sono contento, dai, sai fare tutto,
ti ho insegnato tutto...
-
Non sparire...
-
No, non sparisco, sentiamoci
-
Ok, dai.. ciao
-
Ciao.. mi mancherai
A
parte questo, tra il ragazzo muscoloso coi baffetti alla messicana e
la signora dietro al banco col camice, gli iridi azzurri e i capelli
nerissimi, c'era troppo silenzio. Il silenzio che si forma quando gli
occhi si baciano a lungo. Non avevo chiesto nulla, né il pane né il
formaggio. Sapevo che potevo fare a meno di tutto. Lei avrebbe
servito molti clienti, ma tutto sarebbe stato diverso. Avevo
preferito lasciarla così, ferma dietro al banco, quasi in pasto agli
altri, con quell'addio negli occhi, e non le avevo chiesto niente.
Ero sgusciato via, convinto che lei non si fosse mai accorta di me,
avevo raccattato una busta di taralli e ero uscito. Mi era sembrato
un buon inizio. Avevo di che sperare da una terra che mi lasciava
intravedere i segreti degli altri. Era come per dire, qui le cose
succedono.
SECONDO
GIORNO
Sarà
questa sabbia a cui non avevo niente da ridire, o il promontorio, o
le bocche di Bonifacio che stavano lontane come un sogno terribile, o
i lidi che c'erano e potevano non esserci. Sarà che non riuscivo a
restare semplicemente e allora mi dilungavo sui tetti, forse potevano
essere più bassi, o piatti o senza tegole, e le palme o gli
oleandri, forse più radi, sparsi meglio, o il turchese del mare,
meno circoscritto, più aperto, magari più profondo, magari con echi
soffocati di qualche relitto. Anche una barca a vela in lontananza,
credevo potesse stare a Viareggio, a Terracina, ma non qui; sembrava
troppo costipata in una prua e una poppa, sembrava stare lì e aver
paura. Insomma potevo immaginare l'Assuncion dei cantieri Simeone, o
una qualsiasi goletta con la chiglia scavata dalla mareggiate,
addirittura un gozzo con sopra, che so, Salvatore detto Paco, che in
apnea recuperava anfore e stelle marine. Niente ad eccezione di
questo. Solo così potevo stare. Eppure, al mio arrivo, nonostante
tutto, avevo assistito a un arrivederci e mi era sembrato un buon
segno. Anzi era stato precisamente un addio travestito da
arrivederci. Era stato prima di dialogare con l'acqua che è sempre
così volubile. Era stato stato giusto mezz'ora prima. Era stato
anche prima di conoscerti. Per caso. O meglio, era stato prima di
conoscere il tuo nasino arricciarsi per chiedere lo sconto a un tizio
sulla spiaggia per una veste bianca coi fiori azzurri. Io ti avevo
salvata. Anche questo mi era sembrato un buon segno, ancora meglio
del precedente, perché aveva avuto tutta l'aria di essere un inizio.
C'era già tutto, età, bellezza, e reciproca sofferenza da guarire.
TERZO
GIORNO
Al
Poetto, andavo e venivo tra l'ombrellone e la battigia. Cercavo di
convincermi inutilmente sull'acqua, e cioè che non fosse fredda.
Quando sei arrivata non l'ho visto. Mi sono girato e ho i visto i
tuoi denti bianchi farsi spazio in dei sorrisi. Stavi trattando
l'acquisto di un abito leggero, a fiori. Dicevi che non era cotone,
che non era come diceva lui. Crollavi il capo, sorridevi, e
soprattutto arricciavi il naso. Un nasino piccolo, che a ogni sorriso
si dilatava appena, pulsava come il petto di un uccello.
-
Lascia stare, hai ragione non è cotone – ho detto di colpo
venendoti in aiuto.
Il
nero si è girato verso di me e poi verso di te. - Ok deci
euro, va bene, deci euro – ha detto arrendendosi e
spingendoti la mano che teneva il vestitino.
Hai
pagato e mi hai guardato. Stavo già fermo nei tuoi occhi.
-
Grazie - hai esclamato.
-
Figurati. Comunque bello il vestito.
-
Eh sì bello. Ti piace? Oddio, è una cosina così, io mi diverto a
comprare d'impulso, poi puntualmente abbandono tutto nell'armadio –
mi hai risposto sorridendo come a chiudere una confidenza, come se
già ti appartenessi.
QUARTO
GIORNO
Questa
terra arida e ventosa coi fichi, le bouganville, oleandri, e fiori
gialli dappertutto, sta a metà strada tra gli alberi formiani pieni
d'aria e di sole e i noci, i castagni, gli ulivi, le ginestre di
casa. Questa distanza incolmabile si aggiunge al desiderio di vedere
un solo fico d'india maturo, uno solo, uno che si distingua dagli
altri che assomigliano a olive verdi e spinose, uno da poter tagliare
sul giornale, togliendo due dischi ai lati e srotolando la pelle
arancia al centro. Potrei stare seduto su un muretto basso di pietra,
e stare in buona compagnia. Magari vederti sbucare o addirittura
vedere mia madre che arriva da dietro e mi abbraccia.
QUINTO
GIORNO
Mi
chiedi di chi sono le mai perfette di cui parlo. Non sono le tue.
Delle tue non dico una parola. Neanche dello smalto, così indeciso
(e critico verso il celeste) e così duraturo. Le tue mani sono vive
come come ogni cosa. Come stamattina accanto le barche e i pescatori,
sotto la Sella del Diavolo fino alla punta di Cala Caterina
dall'altra parte. Anche qui è tutto vivo, compreso i pontili e i
lidi mezzi vuoti, e sembra non mancare niente, neanche le tue parole
che avanzano a fiotti come i pesci e arrivano all'improvviso, quasi
sbucano dal nulla.
SESTO GIORNO
Oggi c'è troppo sole e troppa acqua. Ho bisogno di
fresco vero, magari di Taburno, di faggi, abeti, aghi di sottobosco,
palizzate di castagno, foglie secche che ammortizzano i passi, pietre
a circolo per il fuoco, e cartacce, sante cartacce, compreso qualche
piatto di plastica. Invece niente. C'è mare e vento. Soprattutto
vento. Vento che si chiama maestrale e basta. Vento che dalla sella
del diavolo attraversa il Poetto come una freccia. Questo vento
stempera tutto. Il sole insistente e l'acqua troppo fredda. Corre e
mi fa pensare che posso ritornare dove sono partito. Sotto le costole
della dormiente del sannio. L'unico posto dove le mie ossa già
corteggiano la terra.
SETTIMO
GIORNO
Da
Cagliari centro guardo il castello. Piega verso il basso, forse verso
il mare, ma non ci metto la mano sul fuoco. Anzi, può darsi che
resti lì sospeso, a guardare il panorama. Niente a che fare con
Posillipo o con via Luca Giordano, o con Sant'Antonio sopra Formia
che coi pini radi si strofina sul mare come un innamorato. Il Gargano
è lo stesso, la foresta cade nel mare, lo buca, lo possiede.
Cagliari centro resta lì, sospesa e provinciale. Tutto è fermo.
Tranne i gabbiani, i fenicotteri e i fichi d'india appena fuori il
Poetto. Sono segni precisi. Che non puoi fermarti al castello, al
centro, ai palazzi. Anzi non devi. E' troppo poco. Bisogna pugnalare
questa terra ventosa. Fino ad arrivare a Padria, dove si bardano i
cavalli e si fa il latte negli ovili. Dove i pastori fanno gli
spuntini mentre la notte copre le pietre dei nuraghi.
ARRIVO
Cagliari,
mi fai voltare indietro come un amante ferito, come un animale che ha
perso il padrone. Non ti amo ma è un buon inizio. Sento che da te
ricomincerà un viaggio a ritroso verso la voce di mia madre. La
prossima volta ritornerò calandomi dall'alto, passando da
Pozzomaggiore, Padria, Bosa, diritto verso il Poetto, tra il mare e
la terra brulla.