Lo sconosciuto alza il
mento. Socchiude gli occhi. Fissa per diversi secondi la targa di
ottone dello studio. Sembra stia compitando mentalmente ogni lettera:
a, v, v, o, c, a, t, o... Lo guardo attraverso i vetri della
finestra. Entra nel portone. Non finisco di immaginarlo salire i sei
gradini dell'androne che sento il campanello.
- Buonasera, sono un po' in anticipo.
- Prego si accomodi -
rispondo perplesso. Ho un vuoto di memoria.
Faccio mente locale. Niente da fare. Il volto mi è estraneo,
l'appuntamento mi sfugge. Attribuisco la dimenticanza alla mia testa,
come al solito.
- Avevamo un
appuntamento, vero? - gli domando sforzandomi di ricordare.
- Certo, beh... sì sì certo...
Entra smarrito,
strabuzzando leggermente gli occhi. E' tracagnotto, in abito
marrone, pullover e cravatta a fiori. Ha la fronte lucida e
sudaticcia nonostante fuori faccia un freddo cane.
- Ma ha cambiato
arredamento? - mi chiede spaesato.
- No, almeno di recente
no - rispondo.
- Forse le sedie, ne ha
aggiunta un'altra?
- No, sono sempre state
due.
Si siede. Mi fissa per
qualche istante. Sembra agitato. Fa un lungo sospiro e comincia.
- E' giusto che lo dica
subito: sto 'nguaiato, rovinato, non ho un euro. Mia moglie
mi ha lasciato. La voglio denunciare, ma non per i soldi, per
principio. Tutto quello che ne ricavo non mi interessa, piuttosto lo
regalo a lei. Ho pensato ai suoi consigli, che bisogna sempre
guardare al presente. Ma non ce la faccio. Farle causa è l'unica
cosa che può darmi un pò di serenità. Lei mi dirà: e l'avvocato
chi lo paga? Certo i soldi non posso chiederli a lei... scusi se
insisto, ma è sicuro che non ha cambiato la sedia? Me la ricordavo
più comoda...
Cerco di interrompere quel
fiume in piena, quel canovaccio che sembra uscire dallo stesso libro
a cui attingono tutti i clienti: - Le ripeto, le sedie non le ho
cambiate, ma andiamo per ordine, mi faccia capire...
- No, la prego, se no
perdo il filo – mi zittisce ansioso - l'altra volta mi ha fatto un
sacco di domande e alla fine mi sono dimenticato di dirle tutto
quello che dovevo dirle. Oggi invece non mi sta interrompendo e sento
che va molto meglio, lei mi sembra addirittura diverso...
Lo guardo sempre più
perplesso. Un caso clinico, penso. Inutile contraddire. Fra un pò
raccoglierò il mandato e lui uscirà dallo studio. D'altra parte è
chiaro, ha bisogno di parlare. Liberarsi. Scaricarmi addosso il suo
problema. Già mi sento sepolto da una zavorra mentre lo osservo
parlare più sciolto, rilassato. Eccolo di fronte a me. Quasi
completamente alleggerito. Ad eccezione delle tasche. Guardo l'orologio. E' trascorsa una goccia di
eternità. Me ne accorgo dall'aria pacificata dell'interlocutore.
Anzi. Dell'autore del soliloquio. Sta lì come un palloncino sgonfio.
- Beh quello che dovevo
dire l'ho detto, mi sento davvero bene - conclude con aria risoluta.
Si alza di scatto ed esce
dalla stanza. Sull'uscio, mentre siamo ai saluti, mi ricordo del
mandato.
- A proposito ho
dimenticato di farle firmare...
- Il consenso ai
trattamento dei dati, immagino - mi interrompe recuperando un barlume
d'ansia – no, no, non si preoccupi, tanto ci dobbiamo rivedere tra
15 giorni, giusto?
- Come vuole - replico
titubante - magari ci aggiorniamo prima telefonicamente e
concordiamo.
- Dottore non capisco, me
l'aveva detto lei, per i primi sei mesi abbiniamo al farmaco incontri
di psicoterapia ogni 15 giorni. Pensi che siamo al secondo e già va
meglio, e dire che nel primo incontro, le confesso, non mi aveva dato
affidamento...
- Mi prende in giro?
Quale dottore? Sono un avvocato! - controbatto con tono incazzato di
chi si è appena levato di dosso una zavorra che non gli competeva.
- Ma che dice? Un
avvocato? Come potevo immaginare? Lei mi ha ascoltato per un'ora senza interrompermi, con una tale pazienza, meglio di
qualsiasi psicoterapeuta, e per giunta non mi ha chiesto un soldo! - replica come se lo avessi tradito.
- Sarà anche così, ma
lei piuttosto non ha letto la targa fuori lo studio? Non ha letto il
nome sul campanello della porta? Non ha visto i codici? La toga
appesa alle mie spalle?
- Dottore, cioè avvocato, ripeto era lei che avrebbe dovuto avvisarmi, darmi un
segno, perché con i farmaci che prendo, come dire, sto un pò
appannato...
- Va beh, finiamola qui,
tanto oramai abbiamo perso tempo entrambi! E' evidente che c'è stato
un equivoco. Adesso mi scusi ma la devo salutare.
E così cerco di chiudere
la porta ma lui la ferma con il palmo della mano. Rimane sull'uscio e
mi fissa smarrito e sembra voler piangere.
- Avvocà forse lei ha
perso tempo, ma io no - mi dice con un tremolio alla voce – io mi
sono trovato proprio bene. Il mio dottore non mi fa parlare, mi mette
ansia, e poi i soldi che chiede, beh lasciamo stare, perciò se non
le dispiace la terapia la continuerei qui al suo studio...
- Ma che sta dicendo?
- Avvocà, non mi dica di
no, come cliente non le avrei dato un soldo, ma come paziente, stia tranquillo, la pago.
(16.02.13)