sabato 23 febbraio 2013

Una serata romantica

Sì! Finalmente ci siamo riusciti. Siamo tornati liberi, spensierati e senza figli. Come quando ci siamo conosciuti. Come la prima volta. Abbiamo lasciato le bimbe da mia suocera. Gliele abbiamo rifilate con una sapiente strategia di incastri. E' una sensazione strana. Quasi da ladri. E pensare che ce l'ha detto anche quella psicoterapeuta amica di mio fratello. A cena, qualche tempo fa. Disse ai genitori presenti di concedersi  una serata da soli, obbligatoriamente, almeno una volta ogni tanto. Eppure ci sentiamo così. Quasi imbarazzati. Bambini con la coscienza sporca. Respiriamo quest'aria umida a tre gradi che ci promette grandi cose. Il mondo è nostro. A che ora era lo spettacolo? Alle 21.00. Perfetto. Teatro eccoci, stiamo arrivando! Dinanzi al cancello chiuso subito mi insospettisco. Un deserto silenzioso. C'è solo un gatto seduto che ci guarda come una piccola sfinge. Comincio a smanettare nervosamente sul telefonino. - No! Lo sapevo! Non era per oggi. Era domani! Per forza, devi fare cento cose tutte assieme, è normale che vai in confusione – esclamo ad alta voce tentando di giustificare me stesso, ma è inutile. Oramai è fatta. Poco male. Anzi meglio. Sarà una serata ancora più intima. Alzo gli occhi al cielo.
- Visto che luna? La serata è ancora nostra.
- Ma veramente non vedo niente?
- Per forza, con questa nebbia si è messa l'impermeabile. Lascia stare. Piuttosto andiamo a casa. Una bella seratina romantica tutta per noi ce la meritiamo proprio.
Annuisce con aria poco convinta.
A casa finalmente.
C'è un silenzio bellissimo. Senza capricci, pianti, nasi gocciolanti, hai fatto i compiti, basta cartoni, finite di mangiare prima di alzarvi, mettete a posto i giocattoli, giù dal divano che vi fate male.
Dopo pochi minuti quell'assenza di suoni diventa quasi spettrale, inquietante. Nella cucina silenzio. Il salone una tomba. La stanza delle bambine è il colpo di grazia. Sembra un cucciolo senza voce. Sento l'ansia che comincia a montare irrefrenabile, mentre lei mi guarda con occhi smarriti. Simulo tranquillità e trovo addirittura il coraggio di dire: - che meraviglia di serata - tutto inutile, oramai. Dall'altra parte della stanza la sento già al telefono che si informa sotto voce: - allora? che fanno? - e nel frattempo rimango immobile, stordito da questa calma piatta, rimuginando un unico pensiero come un tarlo: -  quasi quasi vado e me le riprendo -
(23.02.13)

sabato 16 febbraio 2013

Ho sbagliato laurea

Lo sconosciuto alza il mento. Socchiude gli occhi. Fissa per diversi secondi la targa di ottone dello studio. Sembra stia compitando mentalmente ogni lettera: a, v, v, o, c, a, t, o... Lo guardo attraverso i vetri della finestra. Entra nel portone. Non finisco di immaginarlo salire i sei gradini dell'androne che sento il campanello.
- Buonasera, sono un po' in anticipo.
- Prego si accomodi - rispondo perplesso. Ho un vuoto di memoria. Faccio mente locale. Niente da fare. Il volto mi è estraneo, l'appuntamento mi sfugge. Attribuisco la dimenticanza alla mia testa, come al solito.
- Avevamo un appuntamento, vero? - gli domando sforzandomi di ricordare.
- Certo, beh... sì sì certo...
Entra smarrito, strabuzzando leggermente gli occhi. E' tracagnotto, in abito marrone, pullover e cravatta a fiori. Ha la fronte lucida e sudaticcia nonostante fuori faccia un freddo cane.
- Ma ha cambiato arredamento? - mi chiede spaesato.
- No, almeno di recente no - rispondo.
- Forse le sedie, ne ha aggiunta un'altra?
- No, sono sempre state due.
Si siede. Mi fissa per qualche istante. Sembra agitato. Fa un lungo sospiro e comincia.
- E' giusto che lo dica subito: sto 'nguaiato, rovinato, non ho un euro. Mia moglie mi ha lasciato. La voglio denunciare, ma non per i soldi, per principio. Tutto quello che ne ricavo non mi interessa, piuttosto lo regalo a lei. Ho pensato ai suoi consigli, che bisogna sempre guardare al presente. Ma non ce la faccio. Farle causa è l'unica cosa che può darmi un pò di serenità. Lei mi dirà: e l'avvocato chi lo paga? Certo i soldi non posso chiederli a lei... scusi se insisto, ma è sicuro che non ha cambiato la sedia? Me la ricordavo più comoda...
Cerco di interrompere quel fiume in piena, quel canovaccio che sembra uscire dallo stesso libro a cui attingono tutti i clienti: - Le ripeto, le sedie non le ho cambiate, ma andiamo per ordine, mi faccia capire...
- No, la prego, se no perdo il filo – mi zittisce ansioso - l'altra volta mi ha fatto un sacco di domande e alla fine mi sono dimenticato di dirle tutto quello che dovevo dirle. Oggi invece non mi sta interrompendo e sento che va molto meglio, lei mi sembra addirittura diverso...
Lo guardo sempre più perplesso. Un caso clinico, penso. Inutile contraddire. Fra un pò raccoglierò il mandato e lui uscirà dallo studio. D'altra parte è chiaro, ha bisogno di parlare. Liberarsi. Scaricarmi addosso il suo problema. Già mi sento sepolto da una zavorra mentre lo osservo parlare più sciolto, rilassato. Eccolo di fronte a me. Quasi completamente alleggerito. Ad eccezione delle tasche. Guardo l'orologio. E' trascorsa una goccia di eternità. Me ne accorgo dall'aria pacificata dell'interlocutore. Anzi. Dell'autore del soliloquio. Sta lì come un palloncino sgonfio.
- Beh quello che dovevo dire l'ho detto, mi sento davvero bene - conclude con aria risoluta.
Si alza di scatto ed esce dalla stanza. Sull'uscio, mentre siamo ai saluti, mi ricordo del mandato.
- A proposito ho dimenticato di farle firmare...
- Il consenso ai trattamento dei dati, immagino - mi interrompe recuperando un barlume d'ansia – no, no, non si preoccupi, tanto ci dobbiamo rivedere tra 15 giorni, giusto?
- Come vuole - replico titubante - magari ci aggiorniamo prima telefonicamente e concordiamo.
- Dottore non capisco, me l'aveva detto lei, per i primi sei mesi abbiniamo al farmaco incontri di psicoterapia ogni 15 giorni. Pensi che siamo al secondo e già va meglio, e dire che nel primo incontro, le confesso, non mi aveva dato affidamento...
- Mi prende in giro? Quale dottore? Sono un avvocato! - controbatto con tono incazzato di chi si è appena levato di dosso una zavorra che non gli competeva.
- Ma che dice? Un avvocato? Come potevo immaginare? Lei mi ha ascoltato per un'ora senza interrompermi, con una tale pazienza, meglio di qualsiasi psicoterapeuta, e per giunta non mi ha chiesto un soldo! - replica come se lo avessi tradito.
- Sarà anche così, ma lei piuttosto non ha letto la targa fuori lo studio? Non ha letto il nome sul campanello della porta? Non ha visto i codici? La toga appesa alle mie spalle?
- Dottore, cioè avvocato, ripeto era lei che avrebbe dovuto avvisarmi, darmi un segno, perché con i farmaci che prendo, come dire, sto un pò appannato...
- Va beh, finiamola qui, tanto oramai abbiamo perso tempo entrambi! E' evidente che c'è stato un equivoco. Adesso mi scusi ma la devo salutare.
E così cerco di chiudere la porta ma lui la ferma con il palmo della mano. Rimane sull'uscio e mi fissa smarrito e sembra voler piangere.
- Avvocà forse lei ha perso tempo, ma io no - mi dice con un tremolio alla voce – io mi sono trovato proprio bene. Il mio dottore non mi fa parlare, mi mette ansia, e poi i soldi che chiede, beh lasciamo stare, perciò se non le dispiace la terapia la continuerei qui al suo studio...
- Ma che sta dicendo? 
- Avvocà, non mi dica di no, come cliente non le avrei dato un soldo, ma come paziente, stia tranquillo, la pago.
(16.02.13)


lunedì 11 febbraio 2013

Il lunedì è un giorno di festa

Anche stasera tiro l'amaro bilancio del lunedì. Non ho combinato una sega o quasi. Il mio datore di lavoro mi guarda severo, tamburellando la punta del piede. Dovrei spiegargli che il lunedì mi sento smarrito. Appena uscito dalla domenica. Come un sopravvissuto esce da sottoterra. Ma non basterebbe. Allora vado al suo cospetto. Passo per il viale Mellusi adornato di alberi spennati e straripante di cacche di cani. Buongiorno lunedì, eccomi. Un'udienza. Minimo sindacale. Gli adempimenti... va beh domani. Che ora è? E' lo stesso. E' lunedì. L'unico giorno senza ora. E' tutto uguale. Si timbra il cartellino e si arriva a sera. Tutto di un fiato. Il giorno dove sistemo la scrivania in continuazione. E aspetto. E rifletto. E penso che posso rimandare tutto a domani. In fin dei conti l'unico giorno dove sono me stesso. Zavorrato a ogni pigrizia. Cullato da fantasie, personaggi, progetti senza utilità, gli unici che lavorano felici come fosse un giorno di festa.
(11-02.13)

venerdì 8 febbraio 2013

Valentina e la rivale ingioiellosa

Sabato di una tersa mattinata di febbraio, conversazione gossip con Valentina, anni 5, mentre sorseggia il suo latte e nesquik con fare civettuolo come se stesse seduta a un bar sul lungomare di Positano:
- Papà lo sai che Giulio è il mio fidanzato?
 - Valentina ma non era Italo?
 - No, Italo si è fidanzato con Oriana.
 - Ah veramente?
 - Si Papà, perchè Oriana è una sfacciata, gli fa le carezze e sta sempre tutta ingioiellosa, adesso scusa ma vado a giocare, ti dispiace?
 - No a Papà , vai pure...
 - Papà tu non ti fidanzi con Oriana vero?
 - Valentì, ma come ti viene? No, certo.
 - Ah per fortuna, perchè tu sei il mio papà preferito...
 - Grazie Valentì, meno male...
(03.02.13)

Fuoco di Sant'Antonio

Lungo il corso le pietre sono fredde e grige. L'isola pedonale più amata dalle auto. 
I lampioni gialli si riflettono nel mosaico bianco del pavimento. Il drago che sta lì smarrito e a distanza di anni ancora si chiede come ci è finito a Benevento. 
All'altezza di Piazza Guerrazzi il corso rimanda bagliori arancioni. Ci giriamo, io e un amico, e c'è una colonna di fuoco alta come un palazzo. Si festeggia il santo. Quello che protegge gli animali. Nella notte di Sant'Antonio gli animali acquistano virtù. Soprattutto la facoltà di parola. Addirittura nelle stalle i contadini possono udire le loro bestie in conversazione. Le bestie diventano umane. Per una notte. Il contrario di quello che avviene per il resto dell'anno. 
Mentre la gente forma un bel crocchio a prudente distanza dalle fiamme, si crea un atmosfera magnetica, spettrale. Arrivano la strega e gli inquisitori. Si apre un equo processo in tre fasi: tortura, confessione e rogo. Gente incappucciata si dispone attorno alla pira. Le fiamme cominciano ad avvolgere tutto e assomigliano a colpi di coda di una balena che brucia nella notte. 
Mentre la faccia rivolta verso le fiamme mi diventa rovente, la schiena rimane assiderata, immobile, buia. Una strana sensazione. Come il fuoco del santo e il rogo della strega. La medaglia e il suo rovescio.
(27.01.13)

Chiara e la matematica

La mattina accompagno Chiaretta a scuola e nel breve tragitto provo a recuperare un dialogo che oramai è già ridotto al lumicino.
Procediamo a piedi penetrando la nebbia che sembra ovatta. Mano nella mano. Lei una farfallina puntigliosa di quasi sette anni. Io con la mia barba perenne ed il suo zaino sulla spalla che pesa come un sacchetto di cemento. 
- Chiaretta hai fatto i compiti ieri? - tento di attaccare bottone con tono dolce.
- Si Papà, ho fatto matematica. La matematica tu non lo sai, vero?
Rallento con la sensazione che un rivolo di sudore mi stia solcando la fronte nonostante la temperatura sia intorno ai 5 gradi.
- Amore scusa, perchè dici che Papà non sa la matematica?
- Me l'ha detto mamma - replica con tono serafico e crudele.
Mi giro un attimo verso i balconi di casa mezzi inghiottiti dalla nebbia e dentro mi arrovello e penso: "ma tu vedi a questa come mi sputtana".
- Amore ma non è vero! - cerco di farle cambiare opinione leggermente infastidito.
- Papà, che vuoi dire? Che mamma dice bugie?
- No amore, non dico questo, - mi giustifico mentre le gocce di sudore si moltiplicano sulla fronte - è solo che mamma forse voleva dire che lei... dopotutto... vedi...
Mentre mi arrampico sugli specchi e faccio mentalmente il conto alla rovescia dei passi che ancora ci dividono dall'entrata della scuola, Chiaretta mi fissa severa.
Alla fine getto la spugna: - Va bè amore Papà la matematica non lo sa, perciò tu imparala bene cosi poi gliela insegni. -
Lei soddisfatta cambia espressione. Arriviamo dinanzi all'entrata. Non faccio in tempo a metterle sulle spalle lo zaino da rocciatore, che parte a razzo. A metà gradinata proprio dinanzi all'uscio si gira e mi regala un sorriso orfano di tutti i denti davanti che sembra bucare la nebbia come un raggio di sole.
(19.01.13)

Un uomo fuor terra

Lo ammetto vivo in un mondo tutto mio, sono un pesce fuor d'acqua, anzi un uomo fuor terra. Mentre infervora la bufera giudiziaria locale la mia condizione di marziano si accentua a dismisura. Anche nel trambusto rimango defilato, immerso nelle mie cose. Cerco di rimediare quando e come posso, goffamente, sforzandomi di captare anche i più minuscoli dettagli dagli animati dibattiti dei colleghi. Alcuni espertissimi, con una tale sicurezza di argomenti che viene il sospetto che abbiano svolto personalmente le indagini. In queste conversazioni mi limito ad alzare il sopracciglio, ad annuire con sussiego, a socchiudere gli occhi dissimulando massima concentrazione, a minimizzare. Insomma bleffo. Ma allo stesso tempo tento di capire, soprattutto per non ammettere a me stesso di essere sempre quello che vive sulle nuvole. Davanti o dentro ai bar, poi, immancabilmente trovo le due fazioni. Giustizialisti e garantisti. Guelfi e ghibellini. Puntualmente non solo non mi appassiono, ma alla prima utile mi dileguo richiamato dall'urgenza di quell'atto da scrivere, da quel libro che ho lasciato aperto, o da quel racconto che è rimasto sospeso e mi aspetta quasi girandosi i pollici. L'altro ieri mattina però, mentre ero in attesa per una notifica, nell'unico ufficio in Italia dove chi raccoglie l'atto allo sportello lo legge con più attenzione del giudice, non ho resistito, e ho preso Il Sannio che stava sdraiato sul tavolo. Mi sono seduto, ho dato un'occhiata alla magnolia maestosa al di là della finestra, e mi sono detto: "Ce la posso fare, adesso con calma, mentre il "giudice della notifica" scioglie le varie riserve, mi leggo tutto con attenzione e cerco di capire bene che cosa hanno combinato al Comune". A pagina 2 c'era l'imbarazzo della scelta. Ho cominciato con gli stralci dell'ordinanza del Gip Cusani. "Cazzo," mi sono detto "Flavietto c'è andato pesante!". Seguendo le parole che assomigliavano a colpi di mannaia, ad un certo punto, mi sono imbattuto in una piccola perla: "...i dirigenti e i tecnici vengono fuori come vasi di coccio di manzoniana memoria, stretti da una morsa costituita da una parte dall'arroganza dei politici disonesti e dall'altra dalle blandizie e dai favori offerti da imprenditori spregiudicati...". Ho posato il giornale, e mentre lo sguardo si perdeva tra le foglie della magnolia che mi stava di fronte, ho pensato a Manzoni. A Don Abbondio, ai Promessi sposi ma anche alla povera Colonna infame ed all'affermazione, meno famosa ma lo stesso di manzoniana memoria, che una "cattiva istituzione non s'applica da sé". Questa frase dovrebbe stare nelle aule di giustizia anziché quella più famosa "la legge è uguale per tutti". Il Gip ha ceduto alla suggestione letteraria. Anzi. E' la suggestione letteraria che è fiorita da sèE. Nel deserto. Anzi, nella bufera. Quasi a dire che letteratura è la dimostrazione che la vita sola, per quanto inenarrabile, non basta.
(12.01.13)

L'inizio dell'anno

Era seduto alla scrivania cullato da una musica che assomigliava agli echi dei fuochi dell'ultimo dell'anno. Pensò all'inverno, alla neve, alla coltre bianca che sarebbe arrivata a ricoprire ogni cosa, a portare il silenzio. 
C'è un momento in cui si fanno i bilanci. Immancabile. La mattina aveva camminato per strada osservando i resti dei fuochi, quelli che più di ogni cosa assomigliano alla malinconia. Guardando quei miseri avanzi aveva pensato alla vita che lascia a terra i resti passato. 
Ogni storia vissuta è un fuoco che brilla, e quando finisce dissemina scarti per strada. 
In queste idee faceva illanguidire il suo bilancio del natale passato, anzi svanito troppo presto, come al solito. Come certi amori che si dissolvono ancor prima di nascere e si cibano di attesa, di quel tempo eterno fatto di acque che si agitano sotto pelle. 
Stava ancora seduto quando la musica finì. Fuori la finestra i tetti muti sembravano ricongiungersi al silenzio della stanza. Posò gli occhiali sullo scrittoio. Pensò al bilancio degli altri. Quelli che stavano già immersi nel 2013 e chi, come lui, indugiava ancora un pò. Osservava ancora resti. I pezzi di vissuto che lo salutavano come figli in partenza.
(06.01.13)

Due pastorelle principesse

Il giorno dell'Immacolata c'erano le nuvole sopra il Taburno gonfie come rospi. Il grigio del cielo era una pennellata svogliata. La temperatura bassa. Dalla valle telesina al fortore ho immaginato fuochi allegri e crepitanti in tutti i camini. Il giorno ideale per riesumare albero e presepe. Sono sceso in cantina e loro erano lì, sullo scaffale più alto. Due sarcofaghi imballati, anzi tre: albero, presepe, luci e palline. L'albero è un veterano. Ogni anno lo trovo sempre più stempiato e spettinato. La scatola delle luci e delle palline fa solo ingombro. Puntualmente le luci si fulminano e le palline sono fuori moda. Finalmente il presepe. L'unico paesaggio che ferma il tempo. Anzi lo riavvolge come un gambero. Mi fa rivedere i fotogrammi dell'infanzia. Ricordo persino il volto dei pastori di quando ero piccolo. Il bottaio, il panettiere, il pescatore, il ciabattino, la donna con l'arcolaio. Poi c'erano le pecore. Un gregge vero. Qualcuna non si reggeva bene in piedi e dovevamo puntellarla vicino un albero, un sughero. Uno specchietto che mamma aveva sacrificato, era il lago. Carta roccia, carta stellata, carta argentata. Gesù bambino era sempre quello. Un pacioccone. Il bambinello di plastica che ho posato ogni anno nella greppia, non so dove sia finito, ma lo riconoscerei tra mille. 
Il presepe è tradizione, anzi è famiglia. Ma soprattutto, per Chiara e Valentina, è la casa dei giochi. Quando abbiamo tirato fuori il presepe dalla scatola, le due furbe già si dividevano case, territori, pastori e animali. Poco dopo, nel muschio, il gruppo di pastori di Chiara stava schierato ed osservava dall'altro capo del presepe il gruppo di Valentina, quasi fossero Montecchi e Capuleti. 
- Papà, uffà, però ci mancano due pastorelle coi capelli lunghi e biondi - esclama Valentina sconsolata. 
- Due pastorelle coi capelli lunghi? 
- Si, le principesse! 
- Ma non esistono le pastorelle principesse! - obietto. 
- Ma che dici? Esistono. Vedi? Una la dobbiamo mettere nella casa in alto, accanto la fontana, e l'altra nella casa in fondo, quella con il balcone. E poi ci servono le pentoline e i piatti per cucinare. E anche due cavalli bianchi. Li mettiamo nelle grotta. Così se arriva il principe possono andare a prendere le principesse e fare una passeggiata – mi spiega Chiara con pazienza.
Butto uno sguardo nella grotta e rimango perplesso: Gesù bambino sta già comodamente adagiato nella mangiatoia e sembra sbadigliare. 
- Ma insomma Gesù bambino non è ancora nato, non lo potete mettere lì! – le rimprovero, cercando di richiamarle al disciplinare.
Valentina mi guarda imbronciata curvando verso il basso gli angoli della bocca, e Chiara mi attacca senza mezze misure. 
- Papà, no, mi dispiace, ma Gesù bambino non te lo possiamo proprio dare. E' nostro figlio. Cioè è il figlio del re, ed è il fratellino delle principesse.
- Va bé, ci rinuncio – replico rassegnato – piuttosto perché San Giuseppe l'avete messo vicino alla bottega, accanto la gradinata?
- Papà, ma non capisci proprio niente, - mi corregge Valentina - quello non è San Giuseppe, è nonno che sta andando a vendere il pesce.- 
Alzo le sopracciglia e penso, magari, con quello che costa il pesce.
- Papà, dai, allora ci compri le pastorelle principesse coi capelli lunghi? - insiste Chiaretta.
- Non se ne parla proprio – replico con fermezza – il presepe non è un gioco!
Mi guardano entrambe noncuranti e si rituffano nelle loro ludico passatempo fatto di pastori, pecore e muschio. Prima di uscire dal salone mi fermo ancora un attimo a guardarle intente sul presepe. Esco, sorrido, chiudo la porta, mentre la mia mente già percorre tutti i possibili negozi: due pastorelle principesse.
(23.12.12)

Valentina è celiaca

Valentina è celiaca e mangia senza glutine. Anzi deve mangiare senza glutine. Ha un intestino un po' troppo selettivo. Fragile e guardingo. Fatto di villi che somigliano a pezzi di vetro. 
Però lei è Valentina. Dio al momento di assegnarle il carattere ha detto: “lasciatemi fare che qua ci divertiamo”. 
Così, come il glutine le ribalta lo stomaco, Valentina capovolge ogni situazione. 
Se i suoi compagni di asilo si avvicinano sventolandole in faccia leccornie di farina e biscotti, infierendo con crudele innocenza, dicendole: " Tu questo non lo puoi mangiare! E' con il glutine! - , lei, non si perde d'animo, anzi s' mett 'a copp' , ribalta la partita, tira fuori dallo zaino la merendina aglutinata ed agitandola nell'aria, esclama soddisfatta: – E voi non vi potete mangiare questa! E senza glutine! -
(10.12.12)

Palle di cannone e torroni

Certe volte le giornate sono grige come palle di cannone, e magari fossero quelle dell'ottocento che stavano nelle bocche di fuoco dei vascelli. Quelle certe volte uscivano e spezzavano gli alberi maestri. Queste palle qui invece giacciono pachidermiche. Sopravvivono tra due fiumi. Hanno il sapore umido della nebbia e dormono peggio della dormiente che almeno si svegliasse qualche volta, invece sta lì, di profilo, negandoci il suo volto da una vita, circondando l'esistenza sdraiata in un letto. Come domenica lungo il corso stavano sdraiati i torroni sotto le capanne, ma quelli almeno sorridono.  Così, mentre mi arrivavano i soliti echi rosicatori: "a Benevento stamm' 'nguaiat e chist pensano u' torrone", come un bambino annegavo lo sguardo in tutte quelle teglie dove nuotavano mandorle, arachidi, nocciole, croccanti luccicanti d'oro, e pezzi di torroni naufragati come scogli.
(04.12.12)

Revolver alla tempia

Un paio di domande di Silvana riassumono bene il suo essere bastian contraria per eccellenza. 
Sono domande che non lasciano scampo. Qualunque risposta dia comunque mi beccherò un rimprovero.
Dopo aver cucinato qualcosa puntualmente mi chiede:
- Com'è?
- Buono!
- Non è vero fa schifo!
Se rispondessi diversamente, l'alternativa sarebbe:
- Com'è?
- Insomma...
- Insomma che? E' ottimo! Se non ti piace lascia stare!
Idem per i pareri su quello che indossa la mattina; non ho possibilità di salvezza:
- Come sto?
- Bene.
- Ma che dici, rispondi giusto per levarmi di torno, ma non lo vedi che non va! Mi devo assolutamente comprare qualcosa, non mi è rimasto più niente!
Dinanzi allo stesso abito, l'alternativa sarebbe:
- Come sto?
- Forse il colore non mi convince...
- E perché scusa? Che c'è che non va? Lascia stare che non capisci niente, e io che perdo pure tempo a chiederti un consiglio.
Inutile dire che di fronte alle domande da revolver alla tempia di questa bruna sono anni che mi immolo... immancabilmente.
(02.12.12)

Udienza a Vitulano

Come ti riconosco città mia. Quando d'inverno cali la nebbia come un drappo da teatro e chiudi il sipario. Stratifichi nubi opache. Stamattina Vitulano sembrava la val padana. Il ponte della fondo valle era come sospeso sulle nuvole. Il fiume sonnecchiava e le cime rugginose dei faggi sbucavano da un placido prato di ovatta. Lungo la strada, appena oltre la cunette, si intravedevano lembi di zolle fumosi. Più dentro era solo nebbia. Quasi una cortina bianca. Impenetrabile. Ai margini della via spuntavano scheletri di ulivi e tralicci di viti con foglie giallo cadmio, rame, arancio. 
Quando sono arrivato c'era un sole timido. Il paese stava seduto ai piedi dei monti. Si vedevano il Camposauro e i cipressi sparsi lungo le pareti della montagna. La nebbia osservata dalla parte più alta del paese sembrava un immenso cratere di fumarole.
Sono entrato nell'ufficio lasciando davanti l'entrata due cani anziani sdraiati sull'asfalto. Dentro invece c'erano quattro gatti, compreso avvocati, giudice e cancelliere.
Quasi tutti rinvii. L'udienza, a dispetto della nebbia, si è diradata in un soffio.
(27.11.12)

Sotto sotto

Mi faccio dare il solito strappo. In un mio incubo ricorrente gli amici mi aspettano tutti sotto casa con il conto della benzina. L'inverno mi saluta fuori dal finestrino. Anche stasera ho fatto tardi. Mezzo giro di chiave nella toppa e finalmente sono a casa. - Sono andata ai colloqui delle bimbe.
- Cazzo! Me ne ero dimenticato! Come è andata?
- Chiaretta bravissima, competitiva e perfezionista.
- Bene, sarà un'infelice. E la piccola? 
- Fa progressi, si vede che è seguitissima, ha detto la maestra. - Ha ragione, effettivamente visto i casini che combina noi la inseguiamo in continuazione.
- Scemo. Comunque potevi venire anche tu, c'erano tutti gli altri padri, invece come al solito rientri a quest'ora,  ma si può sapere che hai fatto? 
- E che ho fatto secondo te? Avevo un atto in scadenza.
- Ma è possibile che ti riduci sempre sotto sotto? 
Mi viene da ridere e penso: "ancora non te ne sei accorta?". Con i compiti arrivavo sotto sotto, con le interrogazioni idem, con gli esami se non arrivavo sotto sotto e chi si metteva sui libri, con il matrimonio pure sono arrivato sotto sotto, anzi sottissimo. Vuoi vedere che da avvocato, non arrivavo sotto sotto anche con gli atti? 
Lo stile di vita è sacro, non scherziamo, io devo arrivare sul filo dei secondi, praticamente scannato, perché altrimenti se mi organizzo prima, mi sembra che non sono più io, e che tutto il tempo anticipato sia tempo sprecato.
(25.11.12)

Valentina ha fatto guai

- Valentina ha fatto guai! come al solito.
- E che ha combinato stavolta?
- Fattelo dire da lei, vediamo un pò che ti dice.
- Ma tu vedi un pò se a quattro anni una bambina può essere così, e pensare che io a quattro anni dormivo all'erta, e se pure tentavo un accenno di qualcosa mia madre mi fulminava, sentiamo Valentì che hai combinato??? Valentì? Valentina, mi senti? Mamma dice che hai combinato guai, sentiamo? Valentina? Valentì? 
Valentina seduta a tavola, mastica il boccone, fissa la bottiglia dell'acqua davanti a sé, con lo sguardo quasi assente, assorto, praticamente sorda a tutto ciò che gli sta attorno. Le gambe le penzolano dalla sedia.
Mentre io mi sgolo con la mia domanda, lei imperterrita continua a masticare senza degnarci di uno sguardo. Ogni tanto, distrattamente, si volta verso la tartarughina che annaspa nell'acqua all'angolo della cucina, e poi ritorna a masticare e fissare la bottiglia.
- Valentina ma insomma rispondi? Che hai combinato si può sapere? Adesso basta guarda che sono botte!
- Papà, non lo sai che quando si mangia non si parla? - mi zittisce Valentina con fare serio.
Rimango attonito. Quasi stordito. Guardo Silvana. Mi viene da ridere. Mi trattengo.
- Hai ragione Valentina, allora finisci di mangiare presto e dopo facciamo i conti - chiudo con una fase di ripiego.
(20.11.12)

Il ponte sul fiume Calore

Cammino sul ponte sul fiume Calore, quello che sta nella divina commedia e guai a non saperlo. Questo ponte è mio, adesso. Mentre cammino e spunta la nebbia come la marea, con i marciapiedi d'asfalto, i lampioni di cera, e le catene con i lucchetti degli innamorati avvinghiati sul parapetto. 
Il mio ponte, che con tutto il rispetto anche per le alluvioni, io ci ho pescato dentro, più in là, alle spalle della Madonna delle Grazie, in un fiume di fine estate placido e intorpidito dalle draghe al lavoro. 
Io e Emilio ci tiravamo fuori certe carpe panciute. Una volta un signore ne prese una di due chili dall'altra parte del fiume. La teneva in braccio e ci sfotteva alluccando: - uagliò tè tè, chest è na carpa! - e ce la mostrava e si agitava, finché ad un tratto quella bestia gli scivolò dalle braccia e con un balzo sparì di nuovo nel fiume. 
- Ue pepe! - gli gridammo all'unisono io e Emilio dall'altra parte. 
Quando passo sul ponte immortalato da Dante sorrido e mi ricordo di quando ci pescavo le carpe.
(18.11.12)

Bolla d'aria

Da poche ore si è spento questo cielo. Sono uscito fuori al balcone, quello della dormiente, e come al solito mi sono guardato indietro, immergendomi in posti già visti e tra le persone già conosciute. Il cielo fino a poche ore fa era un ombrello grigio che dal mio balcone stendeva le braccia sino alla cime dei monti della valle vitulanese. Ho immaginato il convento di San Michele baciato da questo crepuscolo e il suo altare, scavato nella pancia della montagna. Per visitarlo, io e Peppe, tanti anni fa, scalammo mezzo monte e ci scorticammo nei rovi. Più a sud, scendendo dai piedi della dormiente verso la valle caudina, si è aperta una lunga feritoia di luce. Come se il cielo cupo, dilagato in questa domenica avesse lasciato una bolla d'aria facendo intravedere già il lunedì. Un eco d'alba. Quella che si lascia dietro ogni cosa e riporta alle cose nuove del giorno.
(04.11.12)

Ho rivisto il duomo

Dal mio studio ho divorato a piedi il corso, volevo tirare dritto verso corso Dante, ed anticiparmi per un appuntamento, invece mi sono fermato, quasi sull'attenti, dinanzi al duomo che sembrava un ventaglio d'avorio. Ho seguito il profilo del campanile e le sue pietre che formavano una scacchiera di perla. Sulla facciata il marmo era un'altalena di sfumature e tra le arcate, più innanzi alle formelle della janua maior, ho notato la cornice della porta principale fatta di arabeschi. Mi sono ricordato di Granada, Siviglia, Cordoba, Cadiz, Gibilterra e di quel giro andaluso fatto con una vecchia auto tra frammenti barocchi, jamon iberico e coppe di vino rosso. Sulle sei arcate più sopra tutto era dorato dalla luce ocra dei lampioni. Gli stessi riflessi di quando da piccolo un pomeriggio di inverno ci entrai con mamma. Quasi piangemmo io e mio fratello per il buio e un organo che zufolava tetro. Mamma ci guardò, e onde evitare il peggio, ci disse: -va beh usciamo, tanto con voi non si può fare niente -  Poi, fuori dalla chiesa ci comprò un pezzo di pizza e passammo in un attimo dalle lacrime al sorriso. Ho guardato l'orologio ed ho alzato lo sguardo verso corso Dante e la basilica della Madonna della Grazie che sembrava sorridere in penombra. Ho sospirato e mi sono detto: -ho fatto tardi - Per fortuna.
(07.11.12)

La cazziata alla rovescia

Sono rientrato incrociando le mie figlie e mia moglie che uscivano. Una sincronia perfetta. La domenica mi sorride. Mi metto a cazzeggiare. Navigo, leggo, tv, dvd, hifi. Certe volte scegliere è drammatico. L'asino di Buridano ne sa qualcosa. Comunque tutto quello che verrà sarà un poltrire fantastico. Mi sfodero al volo i mocassini. Sento il legno baciarmi le piante dei piedi. Uno sguardo fugace alla cucina e penso con te facciamo i conti dopo. Tiro dritto in bagno. Domani ho un confronto con un giudice. Ovviamente ad armi impari. Chissà se pure i giudici vanno in bagno. Io di sicuro ce li mando spesso. Sorrido. Faccio retromarcia verso il salone ed punto il mio sonnacchioso divano che comincia a dilatare i cuscini di cotone grezzo. Con la coda dell'occhio sbircio la stanza delle bimbe. Mi fermo. Deglutisco. La piana di Waterloo dopo la battaglia a confronto era un tappeto di margherite. Va beh e che cazzo! Mi volevo consegnare all'ozio e invece... Fa niente. Devo sistemare la stanza. O meglio bonificarla. Mi dedico con lavoro certosino. Raccolgo tutto, ma proprio tutto e penso ma come fanno venti ditine a spargere ventimila oggetti. Bah, non perdiamoci d'animo. Oramai ci siamo. Certo mi sono giocato mezza domenica. Ma quando tornano mi sentono. La regola è regola. Quando si comincia un gioco si mette a posto prima l'altro. Come mi diceva mamma, solo che lei mi dava certi ceffoni e io... beh lasciamo stare, dopotutto anch'io so il fatto mio e quando rientrano mi sentono... eccole... le sento dal pianerottolo. Urla, strepiti, due erinni che mi sfrecciano sotto il naso.
- Ehi ferme qui, come è andata? Vi siete divertite? Che avete fatto? Aspetta e spera. Ascoltatemi bene, stavolta la stanza ci ha pensato papà ma... 
- Papà!!!! E che hai combinato? Hai messo tutte le cose della cucina al posto sbagliato! - mi zittisce la grande, e la piccola giù con il carico da undici:  -Sì papà che hai fatto? La torta e la teglia con i wurstel andavano nel forno! E le bambole pinypon? Papa? Dove le hai messe? E le principesse? E i librottini andavano nel cassetto, non sulla libreria, sulla libreria ci mettiamo gli astucci e le scatole del salone di bellezza! Papà!  Le winks vanno nella scatola verde, mentre tu ci hai messo le barbie che vanno in quello fucsia! Papa! Ma insomma! 
E così in quel crescendo di rimproveri e cazziate, cerco di zittirle: -Basta! Silenzio! La prossima volta vi faccio vedere! Vi butto tutto! Ci sono i bambini poveri che se lo sognano quello che avete voi! Dovete avere rispetto per le vostre cose! -
Insomma goffaggini di padre, in definitiva mi arrabatto e sotto sotto mi viene da ridere pensando a mia madre e a mio padre che addirittura sfoderava la cinta.  Così incasso questa cazziata alla rovescia ed arretro piano piano, mi ritiro, quantomeno con fare autorevole, cercando di salvare la faccia. Dal corridoio sbircio la caprese appollaiata sul tavolo della cucina e già mi rinfranco, guardo l'orologio, sospiro, allungo lo sguardo sul divano tradito e penso ma tu vedi un pò se mi facevo i cazzi miei. Meno male c'è il lavoro, domani si ricomincia.
(21.10.12)

Benedetta

Benedetta ha 2 anni ma parla a lingua sciolta come se ne avesse 22. Ripete tutto con una dizione perfetta. La pediatra è rimasta a bocca aperta. La sua favella non si intimorisce neanche di fronte al dialetto stretto. E' una garanzia di imitazione. Non ne parliamo con le parolacce. Guai a lasciarsi andare. Le registra perfettamente e le spiattella alla grande, alla prima occasione che, come sempre capita, è quella meno opportuna. Mio fratello, padre sensibile all'educazione, all'evenienza è preparato. Sa come comportarsi. Quando la bambina sputa fuori la parolaccia, la parola d'ordine è far finta di niente, far finta di non aver sentito. Minimizzare. La bambina non avvertirà il gusto del proibito e tutto si risolverà in una bolla di sapone. Se se. E così Benedetta, dall'alto dei suoi due anni, mentre era seduta sul divano accanto al papà ha detto un bel - cazzo! - Mio fratello è scantato ma, presente a se stesso, ha simulato indifferenza totale. Un self control invidiabile. Benedetta a questo punto non si è persa d'animo: - Papà, ho detto cazzo! - mio fratello ha deglutito, ma ha tenuto duro, silenzio, e occhi incollati al televisore. Cercava di ignorarla. Benedetta allora è partita all'assalto finale: - Papà, ho detto cazzo! Papà ho detto cazzo! Papa ho detto cazzo! Papa ho detto cazzo! - mio fratello dopo il sesto cazzo ha avuto un tracollo, si è girato inferocito: - Zitta! Silenzio! Non ti permettere più! Basta! Cazzo lo dico io! Io ti ho fatto e io di distruggo! Vieni qua, non scappare! Se ti prendo! - Nel frattempo Benedetta, bella di zio, era già schizzata dal divano ridendo a più non posso.
(11.11.12)

Il testimone

Guardo entrare il testimone. - Legga la formula - gli dice il giudice, passandogli il foglio. Il teste prende in mano la formula e la guarda attentamente restando in silenzio; poi la restituisce al giudice. 
- Ecco fatto, letta - esclama. 
- Ma quale ecco fatto, la deve leggere ad alta voce, non per conto suo - 
- Ah, chiedo scusa, non avevo capito - 
Alla fine legge ad alta voce. Come voleva il giudice, e così comincia la deposizione. 
Sorrido pensando che il teste aveva ragione. Era buona la prima. La formula l'aveva letta e nessuno gli aveva detto che doveva alzare la voce. 
La deposizione è lunga, faticosa. Un mare punteggiato di sfocature. Dalla bocca del testimone escono sempre due tipi di parole: quelle temute e quelle sperate. La linea è sottile. Una specie di corda dove danza l'avvocato. Mi siedo, ed aspetto il mio processo. Dopotutto quest'attesa è uno dei pochi momenti per fermarsi. Più tardi prenderò un caffè. Schiumato. A dispetto del giorno che come una lepre si diverte a farsi rincorrere...
(08.11.12)

Zio Alberto

A Formia alla fine degli anni settanta c'era un cortile di brecciolini e sotto casa un bar e a fianco una pasticceria che la mattina alle 5 già si sentiva odore di cornetti che mio nonno si incazzava. A cento metri oltre l'asfalto si vedeva una distesa azzurra, dal balcone della camera da letto c'era la campagna di Umberto con in mezzo un rudere e attorno gli ulivi, poi i palazzi con le bouganville abbarbicate ai recinti, si attraversava la strada e di fronte c'era tutto il mare che volevi, a destra la torre di Mola, il porto, e in fondo il golfo di Gaeta, a sinistra il Miramare, il grattacielo, la piscina Europa, Santo Janni. Quando uscivano con la barca di nonno erano guai se ti imbranavi, perché andava giù di bestemmia, ed erano pataturco e cazzi a non finire, due strappi secchi al laccio dell'Evinrude e partivamo per polpi, spigole, sconcigli, cannolicchi; con nonno una volta ci spingemmo fino alla pila, tra Formia e Gaeta... erano giorni rari perché nonno in fondo era un sannita e quando si allontanava troppo da terra stava sul chi vive. Comunque quel giorno andammo, alla pila c'era un sole che spaccava le onde, e mentre stavamo lì a buttare lenze nonno alzò il mento verso un gozzo che ci stava a poppa e disse: - c'è zio Alberto - Non finì di dirlo che si aggrappò alla barca un dio emerso dagli abissi, un Nettuno con tanto di barba, abbronzato e scolpito come il terzo bronzo di Riace... da fico che era, mi guardò, sorrise e sparì di nuovo sott'acqua. Passò meno di un minuto, il tempo che io e nonno ci scambiammo un'occhiata, e lui riemerse e mi diede in mano una stella di mare rosso fuoco grande come una pizza, poi ci salutò con un cenno e nuotò di nuovo verso il gozzo... era la fine degli anni 70, la pila stava appollaiata come una sirena sul suo scoglio e sul mare crepitavano mille lucciole di sole. 
(30.10.12)

giovedì 7 febbraio 2013

Calde certezze

Arrivo trafelato, come sempre. Combatto con i termini. Una lotta senza quartiere. I termini li conosci con largo anticipo ma scadono sempre all'improvviso. La vita di ciascuno inizia e non si sa quando finisce. Quella dell'avvocato è l'unica con la fine programmata. Ha una scadenza certa. Magari con un bel pò di rinvii. I termini dell'avvocato non perdonano. Sono mostri perentori. L'unica manifestazione umana che non conosce sfumature. Il parcheggio è pieno. Lo so, ma ci provo da anni. Salgo le scale. La mia palestra compresa nel prezzo della quota annuale dell'Albo. Il primo piano è pubblica piazza; il secondo fotocopie e consiglio; il terzo collegio; il quarto penale; il quinto esecuzioni, volontaria, civile, iscrizioni a ruolo, lavoro, e chi più ne ha più ne metta. C'è pure un quinto e mezzo, ci stanno i fascicoli morti dell'immobiliare, resti di ossa che aspettano di salire in paradiso. Mi fermo al primo piano. Arrivo dinanzi la porta dell'aula. Entro. Un'altra porta. Entro ancora. La legge è uguale per tutti. La frase effettivamente sta di fronte a tutti. Tranne al giudice. Lui ce l'ha di spalle. Diciamo si affida alla memoria. Nell'aula c'è sempre penombra. Anche d'estate. Ci sono finestroni alti e rivestimenti di legno scuro che divorano ogni scampolo di luce. Passo i parenti, gli amici, i testimoni, gli avvocati, e mi metto sulla destra. Appoggio la cartella sul termosifone e la mia schiena già sorride pensando all'inverno. E' una calda certezza, perché il termosifone di quest'aula, pure se i processi si fermano, la giustizia arretra, il parcheggio non c'è, il consiglio dell'ordine è parcheggiato, i giudici stanno ai piani alti, gli avvocati parlano parlano e non accocchiano, le tariffe le hanno tolte e gli atti di precetto vagano disorientati come gatti a cui hanno tirato i baffi, nonostante tutto, il termosifone di quest'aula è l'unica cosa che sta sempre a palla, a mille gradi, pure d'estate, e se ne infischia dei processi, dei termini, e del mondo intero... 
(28.10.12)

Non si va in galera solo per estorsione

Dinanzi al giudice c'è il solito fermento, gente in piedi, gli avvocati al banco di difesa, i fascicoli caduti come foglie sul tavolo del vpo; speriamo che mi chiama, magari mi avvicino... posso Presidente? Niente da fare, segue il turno, bisogna aspettare. Anche se alla fine qualcuno si infila sempre, pure questa è arte, ad ognuno la sua c'è poco da fare. Così mentre guardo l'orologio e penso a quello che ho letto al terzo piano, ai frammenti antichi detti spolia, e finalmente do il nome a certi resti di Benevento che adoro, si chiama un processo, quello che si è infilato... e mentre continuo il mio viaggio e mi estraneo ancora,  senza volerlo sento i pensieri dissolversi e cedere il passo alla voce dell'aula, dei testimoni, degli avvocati, del giudice... mi concentro sui fatti come se fossero quelli delle mie carte, e mi godo il processo, l'accertamento che rispetto all'episodio segue sempre il suo corso e vive di luce propria, spesso debole, quasi un eco di candela , ma propria... i testimoni sono il teatro senza biglietto, forse l'unico benefit dell'avvocato, quest'umanità sul palco spesso riceve contributi speciali dai giudici e dagli avvocati, veri e propri cammei. Come ieri quando il giudice ha detto:
- Avvocà ma il vostro cliente ha già diverse condanne definitive per reati simili, i reati piccoli si sommano... 
- Giudice lo so, ma ritengo che in questo caso difetti la prova... 
- Si si, avvocà difetta la prova, ma comunque diteglielo al vostro cliente che non si va in galera solo per estorsione! 
(26.10.12)

Questa settimana è andata al macero

Questa settimana è andata al macero... inghiottita... la strada di casa è fatta di case basse, lampioni di provincia, cemento del dopoguerra, ci sono i campi da tennis ancora caldi di scarpe e la stazione di servizio... lo spazio di terra battuta in direzione della chiesa di San Gennaro dove i giostrai facevano sosta ogni anno adesso aspetta i costruttori che la sanno più lunga loro che tutti i palazzi che hanno piantato, ma per fortuna non sono zingari, c'è odore di kebab e siepi, lecci che danno le spalle a piccoli cancelli... domani volevo stupirmi e invece l'ultima carta, quella uscita dal cilindro, mi ha tirato per la giacca... percorrerò il mio viale anche di sabato, respirando l'aria umida, la stessa che dai fiumi penetra nelle pietre di Sant'Ilario e nei tufi che costeggiano la villa lungo via delle Puglie fino a rimboccare le chiome dei pini, in compenso alla fine scoverò la felicità, anche stavolta, come sempre sarà piccolissima, avrà il sapore delle castagne sul fuoco, quelle che mangiavo dianzi al camino di mamma e che domani festeggeranno Chiara e Valentina tra mille balzi... 
(19.10.12)

Una domenica sull'autostrada

Una domenica sull'autostrada corricchiando più o meno, partendo con l'uggia domenicale di questa Benevento che ci lamentiamo, blateriamo, ma in fondo fondo non sia mai ce la toccano, e così sull'asfalto sotto il tempo che sembra inverno ma fa un caldo boia che stiamo ancora in maglietta, penso che sto guidando ma volevo stare a casa, ma se stavo a casa era meglio l'autostrada, tanto è domenica quasi d'autunno e domani è lunedi, e qualsiasi cosa fai più o meno è un rantolare domenicale, se penso che domenica scorsa c'erano pure le mongolfiere, che sono palle che si sollevano, mi viene da ridere perchè a me certe volte fanno piroette ma nessuno viene a vederle... ecco l'autogrill... che goduria... un caffè... e mentre sorseggi sbirci i camogli e le rustichelle sotto vetro e pensi, mò quasi quasi... ma no è presto.. rimettiamoci sui sedili, il viaggio continua, e sul nastro d'asfalto che si srotola ti viene pure qualche bel pensiero sulla vita... che alla fine è proprio bella e vaffanculo al lavoro ai problemi e tutte le menate di ogni giorno, come è bella questa domenica, l'unico giorno agrodolce dove senti ogni secondo camminarti sulla schiena... 
(14.10.12)

mercoledì 6 febbraio 2013

L'incostante

Sono un incostante. Di un'incostanza incallita, fradicia, bieca da spugna cangiante, da pioggia, da neve sciolta. E' un' incostanza incompresa e autentica. Sono discontinuo perché sono incostante, è ovvio! Devo cambiare, girare pagina di questo libro. Osservare i miei personaggi. Dargli spazio. Altrimenti recito io, povero guitto, e mi annoio non poco. E allora, quando i miei personaggi parlano, prendi nota, segui il ragionamento, apprezza e taci finché dura la lettura fessa di questo libro, perché quando giro la pagina, giro e poi sei fregato! Punto e accapo. L'incostanza è la mia vita, perché finché vivo, pur senza copione, critiche a parte, sono vivo e non è male. Allora per la prima volta scrivo; tutti i libri che ho nella testa da quando sono nato. E sono tanti i libri fatti di soggetti nati dal niente e morti di niente, quasi accartocciati su se stessi; mentre erompevano dalle meningi, queste intuizioni, piegavano sui lori piedi, sparivano, tra le mani, figli incostanti miei prediletti, sguscianti e svelti, facevano capolino e salutavano come dispetti. Ma io sono un incostante ed il copione non mi è dato. Parlano i miei personaggi per me e non mi anticipano niente; tutto in diretta. Allora scrivo e basta e quando mi fermo, così senza preavviso, faccio solo ruotare gli specchi, richiamo dalle pareti altri personaggi, e non dire che non lo sapevi, che non ti avevo avvertito, mondo boia, che in fondo leggi un incostante.