sabato 16 febbraio 2013

Ho sbagliato laurea

Lo sconosciuto alza il mento. Socchiude gli occhi. Fissa per diversi secondi la targa di ottone dello studio. Sembra stia compitando mentalmente ogni lettera: a, v, v, o, c, a, t, o... Lo guardo attraverso i vetri della finestra. Entra nel portone. Non finisco di immaginarlo salire i sei gradini dell'androne che sento il campanello.
- Buonasera, sono un po' in anticipo.
- Prego si accomodi - rispondo perplesso. Ho un vuoto di memoria. Faccio mente locale. Niente da fare. Il volto mi è estraneo, l'appuntamento mi sfugge. Attribuisco la dimenticanza alla mia testa, come al solito.
- Avevamo un appuntamento, vero? - gli domando sforzandomi di ricordare.
- Certo, beh... sì sì certo...
Entra smarrito, strabuzzando leggermente gli occhi. E' tracagnotto, in abito marrone, pullover e cravatta a fiori. Ha la fronte lucida e sudaticcia nonostante fuori faccia un freddo cane.
- Ma ha cambiato arredamento? - mi chiede spaesato.
- No, almeno di recente no - rispondo.
- Forse le sedie, ne ha aggiunta un'altra?
- No, sono sempre state due.
Si siede. Mi fissa per qualche istante. Sembra agitato. Fa un lungo sospiro e comincia.
- E' giusto che lo dica subito: sto 'nguaiato, rovinato, non ho un euro. Mia moglie mi ha lasciato. La voglio denunciare, ma non per i soldi, per principio. Tutto quello che ne ricavo non mi interessa, piuttosto lo regalo a lei. Ho pensato ai suoi consigli, che bisogna sempre guardare al presente. Ma non ce la faccio. Farle causa è l'unica cosa che può darmi un pò di serenità. Lei mi dirà: e l'avvocato chi lo paga? Certo i soldi non posso chiederli a lei... scusi se insisto, ma è sicuro che non ha cambiato la sedia? Me la ricordavo più comoda...
Cerco di interrompere quel fiume in piena, quel canovaccio che sembra uscire dallo stesso libro a cui attingono tutti i clienti: - Le ripeto, le sedie non le ho cambiate, ma andiamo per ordine, mi faccia capire...
- No, la prego, se no perdo il filo – mi zittisce ansioso - l'altra volta mi ha fatto un sacco di domande e alla fine mi sono dimenticato di dirle tutto quello che dovevo dirle. Oggi invece non mi sta interrompendo e sento che va molto meglio, lei mi sembra addirittura diverso...
Lo guardo sempre più perplesso. Un caso clinico, penso. Inutile contraddire. Fra un pò raccoglierò il mandato e lui uscirà dallo studio. D'altra parte è chiaro, ha bisogno di parlare. Liberarsi. Scaricarmi addosso il suo problema. Già mi sento sepolto da una zavorra mentre lo osservo parlare più sciolto, rilassato. Eccolo di fronte a me. Quasi completamente alleggerito. Ad eccezione delle tasche. Guardo l'orologio. E' trascorsa una goccia di eternità. Me ne accorgo dall'aria pacificata dell'interlocutore. Anzi. Dell'autore del soliloquio. Sta lì come un palloncino sgonfio.
- Beh quello che dovevo dire l'ho detto, mi sento davvero bene - conclude con aria risoluta.
Si alza di scatto ed esce dalla stanza. Sull'uscio, mentre siamo ai saluti, mi ricordo del mandato.
- A proposito ho dimenticato di farle firmare...
- Il consenso ai trattamento dei dati, immagino - mi interrompe recuperando un barlume d'ansia – no, no, non si preoccupi, tanto ci dobbiamo rivedere tra 15 giorni, giusto?
- Come vuole - replico titubante - magari ci aggiorniamo prima telefonicamente e concordiamo.
- Dottore non capisco, me l'aveva detto lei, per i primi sei mesi abbiniamo al farmaco incontri di psicoterapia ogni 15 giorni. Pensi che siamo al secondo e già va meglio, e dire che nel primo incontro, le confesso, non mi aveva dato affidamento...
- Mi prende in giro? Quale dottore? Sono un avvocato! - controbatto con tono incazzato di chi si è appena levato di dosso una zavorra che non gli competeva.
- Ma che dice? Un avvocato? Come potevo immaginare? Lei mi ha ascoltato per un'ora senza interrompermi, con una tale pazienza, meglio di qualsiasi psicoterapeuta, e per giunta non mi ha chiesto un soldo! - replica come se lo avessi tradito.
- Sarà anche così, ma lei piuttosto non ha letto la targa fuori lo studio? Non ha letto il nome sul campanello della porta? Non ha visto i codici? La toga appesa alle mie spalle?
- Dottore, cioè avvocato, ripeto era lei che avrebbe dovuto avvisarmi, darmi un segno, perché con i farmaci che prendo, come dire, sto un pò appannato...
- Va beh, finiamola qui, tanto oramai abbiamo perso tempo entrambi! E' evidente che c'è stato un equivoco. Adesso mi scusi ma la devo salutare.
E così cerco di chiudere la porta ma lui la ferma con il palmo della mano. Rimane sull'uscio e mi fissa smarrito e sembra voler piangere.
- Avvocà forse lei ha perso tempo, ma io no - mi dice con un tremolio alla voce – io mi sono trovato proprio bene. Il mio dottore non mi fa parlare, mi mette ansia, e poi i soldi che chiede, beh lasciamo stare, perciò se non le dispiace la terapia la continuerei qui al suo studio...
- Ma che sta dicendo? 
- Avvocà, non mi dica di no, come cliente non le avrei dato un soldo, ma come paziente, stia tranquillo, la pago.
(16.02.13)


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