domenica 30 marzo 2014

DIARIO DI UN METEREOPATICO


14/07/2012
Raccoglievo foglie con l'illusione che mi potessero condurre ai nomi degli alberi e attraverso quei nomi al mondo intero, quasi che la natura e gli uomini fossero tutti lì; non avevo la più pallida idea di come si conservassero, forse la lacca che usava mia nonna anche se mia nonna era morta insieme alla lacca, alle sue fantastiche polpette e all'odore di cera sui pavimenti. Poi perché trattare le foglie? Conservare quello che la natura non vuole conservare ma richiede tutto per sé? Non mi interessava conservarle dopotutto, avevo l'istinto di raccoglierle e basta. Con la delicatezza di chi sta maneggiando un coleottero raro me le mettevo sulle mani, e sorridevo: erano meglio di qualsiasi insetto, perché nelle foglie c'era il nome degli alberi, delle persone, del mondo e soprattutto il loro distacco. Nessuna cosa conosce il distacco meglio di una foglia e  nessuno può pretendere nulla da essa.  Basta raccoglierle e conservarle lasciandole in una ciotola di vetro tra briciole di terra e fili secchi fino a che non si scheletriscono e si frantumano. Sicché a chi mi chiedeva cosa collezioni, soddisfatto di quello che avrebbe sciorinato lui di lì a poco, io rispondevo nella serenità di chi non compete né può barattare doppioni: colleziono foglie cadute.  


8/5/2014
Quando c'erano le rondini fuori al balcone era estate. Mia madre ci faceva il bagno e ci spazzolava a lungo i capelli umidi con gesti regolari e monotoni. Nella nostra stanza avevamo un tappeto marroncino a quadratini e il balcone che dava su un cortile lungo e rettangolare. Mentre mamma ci pettinava le rondini stridevano e piroettavano lontane, oltre i vetri, comparendo e sparendo con traiettorie repentine. A mio fratello mamma metteva un pigiama con un pantalone striminzito da dove sbucavano i ginocchi tondi e piccoli come mandarini; io avevo un pantalone corto più largo e la maglietta lunga che lo copriva quasi tutto. Mentre le rondini continuavano a saettare dietro ai vetri del balcone, a un certo momento, mamma posava la spazzola, alzava il mento, e mio fratello correva a sollevare la maniglia del balcone facendo entrare l'aria tiepida del tramonto e i garriti che senza i vetri irrompevano nella stanza netti e striduli. La balaustra della ringhiera era lunga e arrossata dal sole e punteggiata del riflesso delle ali e delle code nere. Mamma tendeva il braccio verso le chiome gonfie delle siepi appena fuori il muro del cortile e ci spiegava che le rondini sono uccelli che si cibano di insetti. -Lì - diceva mamma - ci sono lucciole e moscerini-. Mio fratello stava con gli occhi fissi alle siepi, sussultando a ogni picchiata agile, esclamando che aveva visto afferrare un insetto, o masticare freneticamente un becco. Io invece rimanevo assorta su certe rondini più alte, isolate, alcune con code lunghissime che volteggiavano eleganti e facevano acrobazie, emettendo versi più melodiosi. - Quelle hanno già mangiato - spiegava mamma vedendomi così presa. Col tempo ho scoperto che le rondini corteggiano con il canto e seducono con le acrobazie aeree. Mamma aveva ragione: l'amore va a braccetto col digiuno, senza alcun sacrificio. Quelle sere ci mettevamo a letto con l'eco delle rondini tra le lenzuola e l'ultima carezza di mamma; il cotone fresco del pigiama rimandava i raggi del sole al tramonto e i miei occhi si chiudevano con l'immagine delle rondini, quelle che stavano accanto le siepi, a predare, ma soprattutto quelle che volteggiavano più alte, lontano dalle siepi, digiune e innamorate.


2/5/2014
Sedevi tra gli altri così chiara, così diversa, mentre in basso nel fiume largo e pieno di arbusti sembravano albergare dappertutto pensieri romantici e solitari. Non era vero che eri socievole con gli altri; sedevi e basta e seguivi un istinto fatto di sorrisi e mutismi. Bastava vedere come tagliavi corto sugli argomenti posando di scatto il telefonino sul tavolo e rivolgendosi d'improvviso a un altro interlocutore: "che hai da dire?" o "oggi stai bene, sembri bello". Eri così, maga, estemporanea, come un uccello acquatico che quando è stanco o ha fame, plana nell'acqua senza pensarci due volte. Solo l'amore talvolta ti distraeva da quelle stravaganze; era come se ti assentassi; in quei momenti sembravi normale e avevi appena la forza di sorridere; erano gli stessi momenti in cui puntualmente l'acqua del fiume placava ogni mulinello e si incupiva smarrendo i pesci negli argini, come se le tue labbra d'improvviso gli avessero ordinato un coprifuoco.


25/04/2014
I litigi furiosi, quelli che sembravano anticipare il tempo, quando il cielo si chiudeva cupo e pioveva, pioveva a dirotto fino a far tracimare l'argine dei fiumi, inondare i negozi, e riempire d'acqua ogni cunetta, le cassette delle poste, comprese le falde dei cappelli, erano interni, tutti nostri e ci sospendevano in un tempo estraneo agli altri. Dopo ovviamente era come quando torna il sole; giallo diffuso e le montagne in lontananza nette nei contorni, tanto che il naso del monte più lontano era sempre preceduto da una serie di poggi ondulati pieni di macchie di pini, querce, rovi, erba. Le tue labbra nascondevano un broncio eterno, un temporale, eppure preferivo il tuo sorriso; lo preferivo come il sole, i dettagli pieni di luce, il giorno terso, e tutto ciò che nasce dopo la pioggia.  


18/04/2014
Il mare spense tutto. Ogni voglia, ogni rancore. Era immote, silenzioso. Dentro c'era la vita che doveva ancora essere. Alcuni pescherecci in lontananza su rotte uguali, così rispettosi di quelle onde assenti, così perfettamente sulla loro scia, avevano lasciato il faro e puntavano verso il promontorio, coi bastioni in lontananza, tersi, e la cresta della montagna che sembrava un naso nell'acqua.
Guardai un gabbiano, era l'unico a non sapere di me, volava senza alcuno scopo recondito, seguendo il movimento di ogni fibra interna e lasciando che il vento gli penetrasse le ali; il resto del paese, comprese le barriere degli scogli a pelo d'acqua, erano statici, annoiati da secoli; sono sempre gli annoiati a farsi gli affari degli altri; la noia può spingere a curiosità morbose, di fronte la noia i nostri segreti si sgretolano. Tutti erano un po' annoiati e tutti sapevano, tranne quel gabbiano che mi stava alto sulla testa.


16 marzo 2014
Il tramonto estivo è quello che preferisco, le nuvole sono grigie ma dietro c'è ancora del rosso, il sole piano piano viene sbocconcellato dal profilo dei monti. E' dolce, è caldo, certo finisce qualcosa, ma senza alcuna cupezza. Il nostro amore è così, un tramonto estivo, che non è chiuso né aperto, sta a mezza strada, e respira come da una fessura, da una branchia di sole. L'altro giorno ci pensavo; niente somiglia a noi come l'estate. Gli ombrelloni dei lidi sempre tesi dal vento, la spiaggia consumata dai bagnanti, le barche lontane e audaci, i ragazzi sul muretto a bere birra. Siamo nati in estate, nell'unica stagione dove il tempo rallenta e i sogni si possono associare a tutto, magari vederli nei gabbiani sarebbe scontato, ma anche i pezzi di spugna martoriati dalle onde possono andare bene, anzi meglio, sembra che il mare non riesca mai a distruggerli.


30 marzo 2014
La campagna sannita sta a metà strada tra le montagne e il mare e qualsiasi altra posto fatto di prati e colline. Ha muscoli compressi in ogni linfa, vite, asparagina, gramigna. Non ha la leziosità delle colline toscane, né la solarità degli agrumeti o delle bouganville del litorale, né il verde bruno della foresta umbra, né la brulla sacralità delle distese pugliesi, né le tinte ocra dei promontori schiacciati tra Sassari ed Alghero; attorno Benevento ci sono piante piante basse e arbusti fitti, grovigli, giunchi di fiume, ortiche, ginestre, viti che l'umido d'inverno riduce a ragni, piante tisiche di mele, cachi, ciliegi, e soprattutto rovi che hanno ricci, spine e drupe nere come i capelli delle streghe. Aspetto che esploda con il tempo caldo ogni pianta, ogni gemma, tutto ciò che ha dimorato nella nebbia per un anno. Mi circondo le ossa di tutti i fiori intimiditi dall'inverno, di tutti i pistilli, come fossero promesse chiuse tra monti e bagnate da due fiumi che coi primi soli già alitano di vapori, quasi disegnano.

20 marzo 2014
Bisognerebbe sempre cercare una casa con visuale aperta: terrazzi, cortili, balconi, finestre lucernari, qualsiasi cosa, magari anche solo un buco, un interstizio, una breccia, una fessura, l'importante è che si possa guardare fuori. E' importante capire dove nasce il sole e dove tramonta e dove staziona durante le ore del giorno. Il sole c'è sempre anche in una giornata chiusa, di nuvole, o durante un temporale quando il cielo diventa nero come il carbone. Anche quando non si vede, sapere che c'è il sole è come immaginarlo dietro un sipario, è come dire che niente è eterno, che è legittimo sperare. Una casa deve mirare al sole come la freccia al bersaglio. Addirittura una buona esposizione penetra lo stato d'animo e lo allinea al tempo: il sole netto che sembra obbligarti a lanciare sfide, quello velato che sembra diluire i secondi, quello che va e che viene come le decisioni che non vorresti prendere, quello al tramonto che ogni giorno rinnova la parabola precaria dell'esistenza. Una buona casa, per quanto bella sia dentro, resta pur sempre un'eccezione all'aperto.

domenica 23 marzo 2014

Valentina e la carezza di fine anno.


- Papà quanto sei bello, ti posso fare una carezza? 
Ovviamente una domanda del genere detta da Valentina che in sei anni di vita è stata sempre selvatica e refrattaria alla smancerie, mi è suonata grottesca. Con gli occhi fissi al tv, senza scompormi neanche di un centimetro e senza voltarmi, ho risposto di sì, in paziente attesa del promesso miracolo di tenerezza. Dopo un minuto di silenzio quasi surreale ho cominciato a sentire una specie di strana pressione tra i capelli, qualcosa di morbido e sconnesso allo stesso tempo, più simile alla mano di uno scimpanzé che non a quella di una bambina. Mi sono girato di scatto e l'ho sorpresa seduta sul divano accanto a me che mi stava carezzando i capelli con il piede, dopo essersi tolta in perfetto silenzio scarpa e calzino.
- Gesù Valentina ma che combini? Che razza di carezza mi fai?
- Papà è un esperimento - mi ha risposto con fare serio; poi è scattata in piedi ed è fuggita ridendo. Ho alzato le sopracciglia e ho continuato a vedere il televisore consolato dal fatto che finire il 31 dicembre con una carezza, anche solo di piede (ma dopotutto bisogna accontentarsi, si tratta pur sempre di Valentina), sia il miglior mondo di chiudere l'anno e di augurarsi cose affettuose per quello nuovo. (31.12.2013)

APPUNTI DI SCRITTURA...

Al porto, sulla banchina dove stavano i pescherecci, il sole del pomeriggio faceva luccicare il mare; passavo in rassegna gli argani, i nomi delle barche, le bitte, il fasciame corroso, i paglioli incrostati e l'acqua ferma sorvolata dalle cime di attracco, dove a pochi metri sul fondale si intravedevano scarti di pesce, chele, e stelle marine rovesciate. Tutto quel mare aperto oltre il faro, non mi riguardava, mi piaceva stare sui dettagli della banchina e su quell'acqua pacificata, dove tutto era vissuto, certo, e assente. (23.03.2014)

Non tutto ci appartiene; solo certe cose sono riconoscibili, dipende da noi. Quando andavamo verso la montagna spaccata, solcando l'asfalto come un fiumiciattolo, ero cosi giovane e pensavo di avere tutto; te e il mondo. Col tempo ho capito che il mondo in fondo è estraneo, ma che rovistandoci dentro c'è sempre qualcosa che splende e che più o meno è il nostro riflesso. Anche la foto che scattammo era così bella, non certo per lo sfondo della grotta buia piena dei luccichii del mare, ma per il taglio dei tuoi capelli, per gli occhiali, per tutti quei dettagli estranei agli altri che splendevano ai miei occhi. (17.03.2014)

Ieri Chiaretta aveva perso un barattolino di omogeneizzato giocattolo corredo di un bambolotto. Sono riuscito a ritrovarlo per puro caso, nel cortile del palazzo; me lo sono messo nel pugno e dopo un po', come un prestigiatore, le ho aperto la mano dinanzi agli occhi ricevendo un abbraccio lunghissimo. I bambini hanno la gioia delle cose piccole, quella che perdono gli adulti, purtroppo. (16.03.2014)

Osservavo i ragazzi fare i tuffi da una roccia molto alta. Sparivano nell'acqua in un attimo, e il mare sembrava fagocitarli tutti allo stesso modo. La differenza tra loro stava tutta sopra; sulla punta dello scoglio, a picco sul mare azzurro che si increspava di spuma. I coraggiosi si slanciavano con baldanza o partivano da dietro, correndo e precipitando in un solo tempo; i forti si muovevano lenti, quasi timidi, e si tuffavano, senza rincorsa, senza slanci. Qualche volta i coraggiosi inceppavano, frenavano sull'orlo e tornavano indietro per la rincorsa; gli altri, invece, senza una sola smorfia, spiccavano il salto ogni volta, come se l'unico destino fosse quello di sparire tra i flutti. (09.03.2014)

Detestavo quelle ventate di pessimismo; -le cose prendile così, tanto non saranno mai come vuoi - era la fase che ripetevi puntualmente quasi conficcando uno spillo. In quei momenti alzavo un po' la testa come se cercassi qualcosa e pensavo che anche in lacrime, in un vicolo cieco, o in un pozzo buio, non è vero che le cose non sono come vuoi, semplicemente non sono accolte come meriterebbero, ma sono proprio le migliori cose che ti possano capitare, le migliori in assoluto. (09.03.2014)

Era strano vedersi anche solo di sfuggita, era come strappare una sola ciliegia dall'albero; certe volte l'amore è così, duraturo e modesto. (07.03.2014)

Non capivamo perché non finisse, eppure contavamo sulla punta del naso tutti gli ingredienti della nostra distanza sicuri che non ne mancasse neanche uno. Un giorno mentre mi concentravo sulle foglie morte, tu dicesti di attendere l'estate a braccia aperte. Fu allora che capimmo; ci mancava l'estate come il pane, la stessa stagione in cui ci scrivevamo lettere che sembravano far cadere baci a fiotti anziché parole. I nostri messaggi erano l'attesa dell'amore e era estate piena, il tempo che ora cercavano i tuoi occhi ocra. Niente era nato a caso tra noi e ogni cosa sembrava rientrare al suo posto, calzare come un tassello. L'amore nato d'estate, in una distanza fatta di lettere, aspettava ancora. Sarebbe tornato là dove era nato, al caldo, tra gli alberi folti e il mare che insisteva sulla spiaggia, riprendendosi gli abbracci insieme alla risacca. (06.03.2014)

La volgarità è una caratteristica interna, molto interna. Non c'è volgarità in certe persone; su certe persone, il colore delle unghie o un abito brutto non possono nulla e al massimo sembrano stare nel posto sbagliato.(01.03.204)

L'amore si mette su un binario lungo, viaggia tra i paesaggi, percorre il tempo come i posti, si inoltra nel giorno, sotto il sole, nella luce al tramonto sino al buio della notte, procede su tratti aspri, fluidi, rallenta quasi a fermarsi, ma resta sui binari e le traversine, ben saldo; l'attesa dell'amore è la stazione e tutto quello che sta prima della partenza, il treno che cova movimenti, il lucido delle carrozze, il fremere, i biglietti comprati di fretta anche se c'è tempo, l'ansia di salire a bordo, la paura di non partire, la gioia che resta in una bolla, fino al momento incerto del movimento, quando il treno bacia il primo centimetro di rotaia e liquida il resto, lo discioglie tra i fazzoletti e gli ultimi saluti. (13.02.2014)

Con la scrittura metto a posto un po' di cose; durante il giorno mi sorprendo così diverso, contraddittorio, imbelle, stronzo, e la sera, prendo la penna, e, dopo un po' di perifrasi, mi lascio andare... riordino. (08.02.204)

Le ultime sere d'inverno mentre tutto il paese fremeva di primavera, noi abitavamo con lentezza ogni stanza della casa. Ci piaceva ancora indugiare; io ti facevo trovare il fuoco acceso perché tu ti crogiolassi sul divano e sui tappeti per ore. Ti ascoltavo leggere a alta voce con toni lenti, alle soglie del sonno. Anche i nostri corpi erano più consapevoli e si prendevano senza ansia mentre il mondo fuori pregava affinché si sciogliesse la neve. Le donne anziane stavano rintanate e sospiravano dietro i vetri, alzando gli occhi al cielo; ti vedevo spiarle divertita, mentre succhiavi spicchi d'arancia con la schiena nuda verso il camino. In quei momenti più che mai sapevamo che l'inverno andava congedato come un vecchio gentiluomo. (29.01.2014)

Fu la mattina più fredda dell'inverno, mentre ragionavi tra i cuscini e a me sembrava stessi tessendo d'estate ogni parola, che cambiasti idea su una certa strada. Quel sentiero ci aveva allettato come un pezzo di cioccolata o un sorso di vino, ma cambiasti idea, e a me sembrò come se d'improvviso avessi aperto una breccia, un buco grande quanto un dito da dove poteva intravedersi la linea sottile che divide gli estranei dall'amore. (27.01.204)

Potrei descrivere tutti i tuoi passi fino a me, sono piccoli come farfalle, e se ci penso, più imprevedibili delle loro ali quando cambiano direzione. Non tutti sanno sorprendere, perchè cuciono d'ovvio ogni gesto, e hanno lo stesso nome, lo stesso protocollo. Odio le sorprese rivelano troppo, forse agitano aria inutilmente. Le tue sono da maga invece e non so definirle come ogni cosa che ti appartiene, rompono ogni certezza di pensiero, raggelano l'acqua di una cascata, quasi la fermano a mezz'aria, e ti lasciano lì, a sperare che tutto resti sospeso, ricada, e si raggeli di nuovo. (15.01.2014)

Rido pensando che era estate, anche se non ci giurerei, dopotutto il sole di certi pomeriggi è indecifrabile. Ricordo solo che camminavamo e eravamo fermi, più fermi del solito, si vedeva che i nostri passi a dispetto di quegli degli altri volevano schiacciare i secondi sul basalto quasi a fermarli. Fu così che davanti alla fontana fummo circondati da tanto di quel tempo, che andare al museo, e indugiare su ogni busto, ogni figura, ogni spiegazione della guida, ci sembrò naturale, quasi avessimo due vite a testa da sprecare. (14.01.2014)

I ricordi mi piacevano un tempo ora non più, sono così tristi e immancabilmente cominciano ad essere popolati da assenze. Anche i tuoi sono come vele lontane, barche ridotte a puntini che non tocco, non sfioro neanche, per paura che affondino. Preferisco l'incerto di oggi, il tuo viso, i capelli, le mani e il resto che sta ancora qui, con me, attraccato come un vascello. (05.01.2014)

Mi hanno chiesto un consiglio per un certo libro e non so perché ho avuto un vuoto di memoria abissale, come se non avessi mai letto nulla. Ancora una volta ho dovuto prendere atto che la mia memoria non solo è tendenzialmente pigra ma anche dispettosa. A casa rimarcando le costole dei libri come tanti soldati in riga, ho sperato in un aiuto alla memoria; annaspando in un ginepraio di ricordi, fitti di trame e personaggi, a un certo punto mi sono imbattuto in Follia di McGrath. E' una storia piena di suspense, che si legge d'un fiato. Il libro non era quello giusto per il consiglio che dovevo dare, ma la mia memoria è strana, e mi ha aperto una finestra, me l'ha spalancata, facendomi vedere mia madre che era una lettrice insaziabile, a cui Follia era piaciuto. Istintivamente ho immaginato sulla copertina, tra le pagine, le sue dita ben fatte, con unghie simili alle mie. Le ho viste davanti a me quelle mani e mi è sembrato di toccarle ancora una volta carezzando ripetutamente il libro come si liscia il pelo di un gatto. Tutto sommato adoro questa mia memoria pigra, dispettosa ma a tratti infallibile. (19.12.2013)

Ieri sono stato con vecchi amici che praticano il culto dell'ospitalità. Non si può mangiare e bere bene semplicemente avendo un buon cibo e un buon vino. Ci vogliono le persone giuste e qualcosa che ti fa stare a tuo agio, un misto di intimità, consapevolezza che è finita la settimana, e magari un piccolo cane peloso che ti scodinzola tra le gambe. L'ospitalità è un'alchimia rara. L'unico posto dove il tempo rallenta e puoi bere il vino speciale che sa scaldare il cuore. (16.03.2013)

sabato 8 marzo 2014

Un solo gesto

E' buio qui ma è come se li vedessi, mille grappoli gialli, e il loro profumo lieve e man mano più intenso quando i fiori maturano e si tingono di arancio fino a disfarsi. L'aspetto quel ramoscello, e  certe volte, da qui sotto, non sembra che aspetti altro; non mi importa che è una festa sciocca, retorica, maschilista, che non c'è bisogno dell'otto marzo per ricordarsi, che non c'è ancora parità, rispetto, pace, o che non c'è alcun motivo per festeggiare, o che su questo prato giallo, o su ogni altro prato,  tutto diventa un banchetto vuoto, un aprirsi e chiudersi di portafogli; mi piace lo stesso e mi piace ogni anno di più, nonostante i miei occhi bui; la città è un unico profumo; la stazione, il fiume, i ragazzini vicino la fontana, coi loro ramoscelli ben messi sugli scatoli di cartone rovesciati, già ammiccano alle auto e ai passanti, e su per il viale, il ponte, il corso, le auto in seconda fila, gli uomini che vanno di fretta ciascuno coi loro ciuffi gialli, minuti, composti, ben confezionati, e qualche ramo imperioso di fiori che svetta brandito dai più giovani che vanno baldanzosi dalle fidanzate; e sulle tavole imbandite, in mezzo ai fiori, c'è il tempo avaro di un bacio, di una carezza, alle compagne, alle figlie, alle mamme, alle nonne, zie, alla vicina di casa, a qualsiasi altra, e ogni bacio e ogni carezza, si chiude in un solo momento, l'unico destinato a far fermare il tempo anche se dura quando dura un batuffolo giallo che riluce, profuma e si disfa così presto. Io sto qui, e perciò aspetto, aspetto il mio ramoscello giallo, come aspetto il mio uomo, non più quello di prima, ma quello che arriva ogni anno, l'otto marzo, nelle mani di mio padre, di mio fratello, di mio cugino, di un mio amico, o di un bambino che per caso mi passa vicino; si tratta di un gesto, uno solo, un fiore giallo posato sulla pietra, che dura il tempo di un giorno perché si disfa presto; il colore diventa arancio, poi bruno, poi come la carne livida, poi si consuma con l'aria, mentre le foglie e i rami che sono ossicini minuti, vengono lavati dalla tomba con la prima acqua. Solo il profumo resta un anno, un anno intero, mi fa compagnia, e io perciò aspetto quel gesto. Uno solo gesto all'anno, per una vita, quel gesto sconosciuto all'uomo violento di prima.