domenica 16 febbraio 2014

Nonno e la pesca di notte

A Formia l'estate non finiva mai, era fatta di giorni lunghi, di sole che inondava tutto; Santo Janni, la torre di Mola, il porto grande, il porticciolo, Vindicio, Gaeta, la montagna spaccata. Alle spalle c'era la cima gibbosa del Redentore e davanti le scogliere brune come carapaci di granchi che formavano una cortina frammentata a ridosso della costa. Dalla camera da letto degli ospiti, dopo il cortile e l'uliveto di Umberto, si vedevano i pescherecci che apparivano e sparivano tra le onde e i traghetti che facevano rotta verso Ponza, Palmarola o Ventotene, consumando il mare sulla stessa scia per tutta l'estate. 
Nonno era andato in pensione e si era messo a fare il pescatore su una piccola barca costruita da un maestro d'ascia di Gaeta. Durante la settimana, di giorno, andava sulle scogliere, per bavose, mazzoni, scorfani, e soprattutto per certi granchi verdi e lisci che la domenica mattina gli servivano per pescare i polpi. Verso l'imbrunire andava a traina per qualche occhiata o spigola; si metteva a andatura leggera, a ridosso della scogliera di fronte la torre di Mola, con il piccolo Evinrude che arrancava tra le onde. Solo raramente si spingeva fino alle spiaggette sotto al Miramare; arenava la barca, si tirava su i pantaloni, e scendeva nell'acqua bassa con una vanga smilza e robusta; fendeva colpi secchi e repentini nella sabbia, cercando cannolicchi finché non gli faceva male la schiena.
Ma la pesca vera, quella dove catturava bestie, la faceva di notte, a seconda delle lune, degli orari. Andare a pescare con nonno di notte, resistere in barca per ore senza stancarsi, senza chiudere gli occhi, era una sfida. Prima lo dovevi convincere a farti venire, e dopo veniva la prova più grossa: non mollare, non cedere al sonno, conquistare la sua stima. Ciascun nipote puntualmente tentava di persuaderlo.
- Nonno mi porti con te.
- No, che t'addormenti.
- Nonno, non m'addormento.
- Sì che t'addormenti!
Nonno si convinceva di rado e quando accadeva, quasi sempre c'era lo zampino di nonna: - Giovà, e portatelo, solo stavolta. - Lui restava zitto e non ribatteva più; un silenzio che equivaleva a dire che avevi il posto in barca.
Scendevamo sotto il ponte vicino la torre di Mola; c'erano delle scalette di pietra ripide e una banchina esile e lunga. Le barche stavano attraccate, fianco a fianco, e sembravano già sonnecchiare sul letto d'acqua placido e buio. Ci spingevamo a remi, lentamente, nel silenzio della notte, nel punto centrale tra il ponte e la torre, dove in mezzo, a pelo d'acqua, affioravano degli scogli sparuti. Nell'attesa paziente di qualche bella spigola, o di qualche cefalo, scimmiottavo nonno, la sua postura, la sicurezza, il suo non battere ciglio. Resistevo fino al momento in cui nello specchio d'acqua cominciava a riflettersi il dondolio di una mezza luna con sopra un bambino con il mento sulle mani intento a scrutare nei fondali: anguille, spigole, cefali, saraghi, occhiate, granchi, ricci, alghe. Tutto dormiva, e non c'era bisogno di alcuna pesca, perché tutto nel sonno risplendeva d'oro e tutto era a portata di mano; compariva dopo poco anche la ragazzina bionda a cui il giorno primo avevo regalato il vaso di basilico che stava sul balcone di nonna. Sembrava sbucare dalla torre o scivolare da quello spicchio di luna; tutti la guardavamo arrivare, anche i pesci, anche le alghe, anche nonno che stava sempre zitto ma in fondo non gli sfuggiva niente.
- San Giovà! Non dormire! - si incazzava e subito drizzavo la testa che si era afflosciata in un cuscino invisibile nell'aria umida.
- Stai dormendo?
- No, nonno! - e nonostante la testa scattasse di nuovo sull'attenti, tutto continuava a essere cosi bello, tutto danzava, lo spicchio di luna, i pesci, il mare, la torre, e la ragazzina che nel frattempo si era centuplicata per quanti erano i suoi capelli biondi e sottili.
- San Giovà! La lenza! - sbottava nonno, facendomi fare un walzer con la testa che oramai piegava di lato senza freno.
Quella danza continuava fino a quando la mattina aprivo gli occhi nella stanza degli ospiti, nell'ultima stanza a sinistra del corridoio. Mi svegliavo e mi avviavo verso la cucina da dove provenivano già le prime zaffate del pranzo. Inzuppavo i biscotti nel latte insieme alle parole di nonna che stava ai fornelli e mi dava le spalle: - Ti sei addormentato ieri? Ha detto nonno che non ti porta più -
Rimanevo zitto, tanto sapevo che nonna era così, e che, nonostante tutto, al momento giusto avrebbe convinto nonno, un'altra volta. Nonno sarebbe rientrato a ora di pranzo. Si sarebbe messo a capotavola, rivolto verso la veranda e i pini della scuola elementare sui quali soffiava incessante la brezza marina. Subito l'avrei cercato con lo sguardo, per sincerarmi che non fosse arrabbiato; avrebbe detto: "Giovà" e basta, che significava che tutto era a posto, che la barca stava ancora lì e che ci sarebbero state ancora molte notti. Erano i momenti in cui coglievo un sorriso dietro le sue labbra silenziose; quello di un pescatore che non andava oltre la bestemmia, di uno che sapeva che tra gettare la lenza e tirarla su, è sempre questione di un attimo. 

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