domenica 9 febbraio 2014

La visita di mamma

Ho perso mia madre tre anni prima della sua morte. L'ho persa subito dopo l'intervento. Non si è più alzata dal letto. Era viva perché continuava ad affermare la vita dal quadrato di un materasso ma in fondo era sparita. Lontana dai posti, dalla strada, dall'aria, dal mercato, dal panificio, dall'edicola, dalla scuola, dai figli. Mi ero abituato a quella presenza statica, a quella vita ripiegata, a quell'assenza che respirava. Un pomeriggio mentre stavo allo studio ha bussato alla porta. Non si reggeva in piedi. La portava mio padre sotto braccio. Mi aspettavo tutti meno che lei, che era incatenata senza rimedio ai polsi sottili come il vetro, inchiodata al letto supina, con l'addome simile a un palloncino scavato dall'interno. Eppure si è fatta accompagnare, sorretta da papà, solo per vedermi al lavoro, per baciare tutte le stanze dove costruivo la mia vita. L'ultima volta che mamma è venuta a trovarmi. Vincendo ogni idea di fine. Contraddicendo il corso delle cose. Facendo la mamma che vuol dire che non esiste niente di più forte. La morte, prende il corpo, le ossa, i capelli e le unghie, spoglia di tutto, meno di uno spazio di stelle inafferrabile. L'unico spazio dove è incapace di andare, dove rimane sull'uscio e si inchina a una madre.

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