Scrivo da una cella, da sotto una foglia rovesciata e resa dura da stagioni e stagioni. Scrivo, con poco spazio per i gomiti talvolta, eppure quelle volte mi faccio bastare le dita, le falangi, le unghie e se occorre due moncherini di carne viva. Faccio gesti che sembrano ragni, artrosi, e più ci sono stagioni e più mi restringo in questo spazio di resistenza, affacciato sul giorno da una crepa.
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